Papa Francesco: “ quel poco che abbiamo, se condiviso, diventa ricchezza”

Nei primi secoli del cristianesimo il culto di San Giuseppe si manifestava in forma individuale, all’interno di nuclei privati; dalla fine del 1300 in poi la devozione al Santo assunse carattere pubblico, grazie all’opera divulgatrice di San Bernardino da Siena, e successivamente, di Santa Teresa di Gesù. Papa Pio IX l’otto dicembre 1870 proclamò San Giuseppe Patrono della Chiesa, mentre a decidere la data della festa nel giorno 19 marzo era stato papa Sisto IV. In Sicilia San Giuseppe è patrono in 15 comuni e almeno 150 lo festeggiano; Cammarata e San Giovanni Gemini si possono annoverare tra quelli più devoti e la parrocchia Santa Maria di Gesù tra quelle che celebrano con solennità la festa del Patriarca, muovendo un popolo da sempre attaccato al suo Santo nella fede e nelle tradizioni. Proprio attorno al 1870 si diffuse in Sicilia l’uso, diventando in breve tradizione, di preparare nelle case o nelle pubbliche piazze dei gran banchetti ai quali venivano invitati persone povere e bisognose: un anziano che impersonasse San Giuseppe, una fanciulla la Madonna e un bambino Gesù. Sono i Santi, le figure sacrali che non possono mai mancare. Il numero dei Santi varia a secondo della promessa fatta, e comunque sempre di numero dispari. Alla tavola da cinque si aggiungono Sant’Anna e San Gioacchino, a quella da sette Sant’Elisabetta e San Giovanni, a quella da nove San Zaccaria e Santa Maria Maddalena, a quella da undici Santa Caterina e San Tommaso, infine a quella da tredici San Pietro e Sant’Agnese. Nei giorni che precedono la celebrazione nelle case di chi chiamato al rito per grazia ricevuta, fervono i preparativi, bisogna presentare la tavola curata e adornata da tovaglie ricamate, imbandita con prodotti poveri frutto della terra e delle tradizioni contadine. Questo banchetto, secondo i luoghi, prende il nome di altare, cena o tavolata. Il 19 marzo nelle nostre comunità è sempre stato il giorno dei Vicchiarieddi. Il giorno in cui si preparano e celebrano “le tavole di San Giuseppe”, il giorno in cui si concretizza a prummisioni; è arrivato il momento di sciogliere il Voto. Chi ha ricevuto la grazia è pronto ad accogliere e servire i più deboli, quelli privi di alcun sostegno, quelli che versano nelle ristrettezze più gravi, i più poveri.

SAN GIUSEPPE: Santo della Carità – Soccorritore dei Poveri – Padre della Provvidenza

A Cammarata e San Giovanni la tradizione dei Vicchiarieddi è antica di qualche secolo, almeno dalla fondazione della Confraternita, periodo in cui si incrementò e diffuse tra i tanti devoti del Patriarca San Giuseppe. Molte famiglie delle nostre cittadine hanno fatto e continuano a fare i Vicchiarieddi all’interno delle loro abitazioni, per adempiere ad una promessa fatta al Santo o perché particolarmente devoti. In forma pubblica, i facenti parte della Confraternita di San Giuseppe, ogni 19 marzo si attivavano ad organizzare la festa: raccoglievano e gestivano le offerte; sceglievano i Santi che dovevano impersonare i personaggi della Sacra famiglia; costruivano il palco dove veniva preparata la tavola e consumato il pranzo. Dopo la messa solenne della mattina, appena dopo mezzogiorno, partiva la processione, da ogni strada e da ogni vanedda sbucava qualcuno con un piatto in mano che si aggiungeva ed ingrossava il corteo. Nel piatto ognuno portava una pietanza che aveva preparato in onore del Santo, addirittura c’era chi di piatti ne portava tre, per tutta la Sacra famiglia, venivano messi dentro un cannisciu il quale veniva adagiato e portato, con eccellente equilibrio, sulla testa. Il pane veniva portato dai muli addobbati a festa dentro i cufini; al suono dei tamburinara; la devota e festante processione arrivava al palco di Santa Maria, veniva benedetta la tavola dal sacerdote e dal bambino che impersonava Gesù; si poteva incominciare a mangiare. Il componente più anziano della Confraternita o comunque chi particolarmente devoto, metteva una tovaglia bianca sulla spalla sinistra e con grande umiltà incominciava a servire quei Santi che si celavano nei fratelli più poveri. Si incominciava con pane e arance, seguiva poi a pasta ‘ca muddica(spaghetti conditi con il pane duro grattugiato e fritto), chissà se qualche grande chef è in grado d’inventarsi un piatto più povero? Il pranzo proseguiva con tutta una serie di piatti(ne stiamo curando una raccolta)a base di verdure tipiche del nostro territorio, si concludeva con i dolci tipici tradizionali: cannola, cassateddi, cubaita e i famosi sfingi di San Giuseppe. I cibi che i Santi non riuscivano a mangiare li portavano a casa(servivano a far mangiare anche la loro famiglia), il resto veniva dato agli altri poveri del quartiere. La celebrazione dei Vicchiarieddi quanto pioveva non si svolgeva all’aperto bensì nella sacrestia della chiesa di Santa Maria. Agli inizi degli anni settanta questa tradizione si interruppe. Il 19 marzo si portava in processione solo il Santo dopo la messa solenne della sera.

Dopo quasi un ventennio, nel 1990, la tradizione venne ripresa dal comitato e, per farla partecipe a chi tornava al paese nel periodo delle ferie, si pensò di collocarla il 16 agosto, attaccata ai festeggiamenti estivi dedicati alla Madonna di Cacciapensieri e San Giuseppe. La tradizione restò fedele a quella originaria nella rappresentazione e nella preparazione della tavola mentre al posto dei piatti nel corteo si erano sostituite coffe e ceste con alimenti crudi. Dal 2007 il Comitato decise di tornare all’antica tradizione: per le strade sono tornati i piatti con i cibi preparati ad onorare il culto dei Vicchiarieddi; certamente sono rimaste le coffe piene di alimenti crudi, i tamburinara e la banda musicale. Contestualmente si è introdotta una novità inusuale per le nostre tradizioni, pensata e curata da un nostro concittadino originario di Favara particolarmente devoto: la Minestra di San Giuseppe. La minestra di San Giuseppe viene preparata in grande quantità (tante marmitte) in modo da condividerla con quanti affollano u chianu di Santa Maria, giunti a veder mangiare i Vicchiarieddi. Minestra fatta con tutti i tipi di legumi, verdure e molti tipi di pasta di vario formato; viene fuori un piatto di grande valore, denso dei sapori e dei profumi della nostra terra. Nel vederlo preparare non si direbbe che una serie di alimenti, apparentemente buttati alla sanfasò dentro una pendola possano dar vita a una minestra tanto buona quanto apprezzata dalla nostra comunità. Non abbiamo dimenticato il pane di San Giuseppe: un capitolo a parte da raccontare; noi mettiamo solo le foto, le parole spetteranno ad altri. Diciamo solo che: il segno di Gesù è ‘a Cuffitedda; quello di Maria ‘a Cruna; quello di San Giuseppe ‘u Vastuni.